Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura…

Così, a 35 anni ancora da compiere, volteggiavo sospeso nell’aria, dopo che mi fu diagnosticata una forma di leucemia acuta linfoblastica “very high risk”. Sì, ho imparato il gergo tecnico dei medici perché, se le grandi storie ci insegnano qualcosa, è essenziale conoscere il nemico per poterlo battere.

In realtà, più che un nemico, per me la malattia è stato un pericoloso viaggio in una sorta di “terra di mezzo”, un limbo tra due mondi, una landa dell’anima piena di nebbia e sconforto ma, incredibile a dirsi, anche di opportunità.

Quando mi è stato detto che il mio midollo andava sostituito o non avrei avuto speranza, mi sono chiesto: «è veramente arrivato il mio momento?»

Un grande coro collettivo di voci, pensieri e sussurri provenienti da chissà dove mi ha suggerito una risposta: «non ancora.» Così, quasi sin da subito, dopo che il veleno della chemioterapia bruciava ciò che aveva preso una direzione deviata nel mio organismo, ho percepito tante forze invisibili sostenermi e spingermi verso una nuova opportunità: l’occasione di rinascere. Tra quelle forze vi era il gesto meraviglioso, quasi sacro, del mio donatore: sapevo che lui o lei era lì per me, anche prima della conferma della compatibilità da parte dei medici. Per tutto il percorso terapeutico ho sentito una forza benevola proveniente dalla persona più simile a me e che mai conoscerò: quali meravigliosi paradossi la vita ci pone dinanzi!

Ed ora sono cambiato, quasi in tutto e per tutto, per rimanere qui.

Con mia moglie. Con i miei amici. Con tutte le persone che avrò la possibilità di conoscere.

Per amare. Per imparare. Per soffrire e consolarmi, per infuriarmi e perdonare.

Per vivere.

Guarire non comporta necessariamente una restaurazione di uno status precedente: non si torna mai indietro. Guarire significa andare avanti, scoprire un nuovo te stesso lungo il cammino, godersi il viaggio al di fuori della selva oscura. Sembra una storia inventata, un racconto epico, invece è il miracolo collettivo di cui faccio parte con spirito e corpo, al quale in molti hanno partecipato.

Il bello è che si può ripetere, perciò continuiamo a donare e a ricevere: vi sono ancora tanti fili che ci uniscono da scoprire e valorizzare in questa strana esistenza.

Alessandro

Mi chiamo Jessica e oggi ho 26 anni. Quando entrai a far parte di questa famiglia, ne avevo 18 ed ero figlia unica.
Ero una studentessa all’ultimo anno di liceo scientifico, e un giorno partecipai con la classe a un incontro organizzato da ADMO. Non sapevo che quel giorno, così normale, avrebbe cambiato la mia vita. Ricordo ancora quanto rimasi colpita dalla testimonianza di quei ragazzi, dalla naturalezza con cui raccontavano la loro esperienza, le gioie e le emozioni che trapelavano dalle loro parole. Cosi alla fine dell’incontro, senza alcun timore, decisi di iscrivermi.

Da allora, senza rendermene conto, sarei prima o poi diventata importante per qualcuno. Non ci pensai, la mia vita proseguì nel turbinio della quotidianità, degli studi, dei pianti e delle gioie. Fino a quando in una fredda mattina di marzo ricevetti una chiamata. Guardai il numero, e capii. Non so perché, ma in quella frazione di secondi, il mio pensiero andò a quel giorno, a quell’iscrizione, il cuore inizio a battere sempre più forte, e risposi. Piansi tanto, dentro di me provai una gioia immensa. Quel giorno era arrivato. Mi chiesero se fossi disponibile a proseguire con gli accertamenti di compatibilità, una persona poteva avere bisogno di me. Mia madre, colonna portante della mia vita, assieme a tutta la mia famiglia, mi è sempre stata accanto, supportandomi in ogni momento di questa lunga esperienza.

Iniziai tutto il percorso di idoneità, fino a quando arrivò il giorno dell’intervento; ero emozionatissima. Quando mi risvegliai, mi sentii felice. Sorrisi, stavo bene, e avevo portato a termine il mio compito, avrei donato almeno la speranza di una vita migliore. Pensai solamente a chi, seduto su un letto simile, circondato dai suoi cari, non stesse aspettando altro che quella sacca piena di vita.

Oggi sono passati 5 mesi, e non sono più figlia unica. Non so con chi ho condiviso questo viaggio, se con un fratello o una sorella.

Posso solamente dire che oggi sono orgogliosa di appartenere a questa grande famiglia e lo voglio urlare ad alta voce: La vita è un dono unico e prezioso.

Donatela perché in fondo a tutta questa esperienza, penso che la vita mi abbia regalato molto più rispetto a quanto io stessa ne abbia donata.
Jessica

Era il 2 aprile del 2016, frequentavo la quarta superiore. Ho sempre avuto il desiderio di iscrivermi a questa associazione, come quella dei donatori di sangue, motivo per il quale attendevo ogni giorno il compimento del mio 18 esimo anno.
Nei mesi seguenti al compimento della maggiore età, mi sono recata a fare la mia prima donazione di sangue, quella più comune. La mamma e il papà mi hanno sempre parlato di volontariato e di donazioni, perché entrambi sono donatori di sangue e potenziali donatori di midollo osseo. C’era un unico problema: non sapevo a chi rivolgermi per la donazione, o forse, come succede per tante cose, non mi ero neanche sforzata così tanto nel cercare un contatto da qualche parte.

Un giorno di dicembre, però, mi arriva un messaggio. Lo apro. I miei occhi non vogliono crederci: un mio caro amico si è ammalato. Si tratta di un tumore ai linfonodi.
Inizialmente non volevo crederci, ma più passavano le ore e più realizzavo di quanto fosse successo.
Nei giorni successivi i pianti erano continui e i ricordi che mi sovrastavano erano altrettanti. Non vi dico i sensi di colpa, quelli erano terribili. E se ci penso, rivivo ora quei momenti. Sensi di colpa per cosa poi? Eppure c’erano. Li trovavo anche dove non vi erano.

La settimana seguente ho deciso che dovevo reagire a questo e rendermi utile per qualcunaltro. Ho scambiato quattro chiacchiere con la professoressa di anatomia (una donna che possiede una capacità di ascoltare meravigliosa), la quale mi ha detto che se avessi voluto, la settimana successiva, senza neanche farlo apposta, sarebbero venuti i volontari di ADMO a fare un incontro, proprio nella nostra scuola. Un incontro come quello di oggi.

Io ero davvero al settimo cielo. Ero euforica: si, penso che sia la parola più adatta.
Al termine della conferenza ero pronta per compilare quel foglio; lo stesso foglio che speravo di poter compilare mesi prima.

Quel giorno per me è stato l’inizio di una nuova avventura: quel giorno avevo le idee chiare, volevo iscrivermi!

Quella conferenza, però, mi ha portato a compiere anche un’altra scelta: diventare una volontaria attiva di questa associazione. Il motivo? Far conoscere alle persone che mi circondano quello che si può fare con un piccolo-grande gesto.
Oggi, a distanza di qualche anno, mi trovo qui, davanti a dei ragazzi. Non posso dire di non essere emozionata. Si lo sono, e non immaginate quanto, però è una cosa che mi rende orgogliosa.

La voglia di donare è molta, ma d’altro canto spero quasi che non avvenga mai, perché questo starebbe a significare che  la persona compatibile con me  sta bene.
Io auguro ad ognuno di voi, di trovare la forza e la voglia di dedicarsi all’altro. La voglia di veder sorridere tutte le persone che vi circondano. Perché ricordatevi che quella che per voi può sembrare una banalità, per un’altra persona (in questo caso il ricevente), è un gesto enorme, che non saprà mai come ricambiare.
È un gesto che vi cambierebbe la vita.
Ecco, questa è la mia piccola storia, che racconta come con una scelta consapevole sono diventata una potenziale donatrice di midollo osseo.

Elena 20 anni volontaria ADMO

Mi sono iscritto al registro dopo una presentazione fatta nella mia scuola e la chiamata è arrivata poco più di un anno dopo.
Questo era un periodo abbastanza frenetico della mia vita, un periodo in cui le 24 ore che formano una giornata sembravano veramente poche, sempre troppo poche.
Le giornate scorrevano veloci e non riuscivo mai a fare tutto quello che avevo programmato.
La mia vita stava però percorrendo la sua strada, raggiungendo vari obiettivi e puntandone altri, con lo sguardo rivolto sempre al futuro, un periodo astratto ma che al tempo stesso consideriamo molto più concreto e importante del presente.
È qua che arriva l’SOS, la chiamata in nome di qualcuno che sta affrontando una battaglia impari.
Durante tutto il periodo della donazione ho smesso di pensare solo al futuro e ho vissuto, per quanto possibile, le sensazioni che prova chi è affetto da malattie così gravi. Essere intrappolato in un limbo oscuro dove quasi tutto perde senso…sopratutto la speranza, che viene vista come una piccola fiamma tenue.
Lo scopo di ADMO, e quindi di iscriversi al registro, è quello di alimentare quella fiamma il più possibile.
Io, nel mio piccolo, mi sono sentito un ramoscello che ha alimentato quel fuoco, facendolo diventare abbastanza grande da poter segnare la strada a qualcuno che ne aveva realmente bisogno.
Leo

La mia avventura è iniziata durante una manifestazione in piazza con l’iscrizione al registro, insieme ai volontari ADMO, ai medici e ai simpatici claun di corsia.

Dopo circa un anno e mezzo sono stata chiamata per una compatibilità. Trascorso un mesetto circa dal controllo, mi hanno richiamata per un’ulteriore analisi del sangue. In entrambe le occasione, mi hanno semplicemente preso una fialetta di sangue, nulla di impegnativo insomma. Trascorsa una settimana, mi hanno richiamato dicendomi che avrei potuto donare il mio midollo osseo. In quel momento ero euforica!!
Nei mesi successivi ho fatto una serie di controlli (ecografia al cuore, elettrocardiogramma al cuore, ecografia alla tiroide, raggi x al torace) per verificare per stessi bene al 100%.
Duranti questi controlli ho parlato con tanti medici: dal trasfusionale che mi hanno seguita dall’inizio del percorso fino ad oggi (anche in sala operatoria per un paio di minuti!), all’anestesista, passando per l’ematologo. Mi hanno sempre spiegato tutto quello che c’era da sapere, hanno risposto a tutte le mie domande e mi hanno fatto leggere e firmare tutte le informazioni necessarie.

Tutto questo per preparmi all’espianto. Tutto questo per dare una speranza ad una persona.
Da quel momento siamo fratello/sorella di midollo e di conseguenza di sangue. Sarò per sempre legata a questa persona. Penso a lui/lei praticamente ogni giorno, da QUEL giorno.

Ho donato midollo osseo a 21 anni. Se l’ho fatto io, direi che puoi farlo anche tu 😉
Valentina

Quando mi è stata diagnosticata la malattia, il 7 maggio 2014, il mondo mi è crollato sotto I piedi. Non sapevo praticamente nulla della leucemia, tranne che è un tumore e che di tumore si muore. La dottoressa che mi fece il primo ago aspirato per controllare lo stadio e che tipo di leucemia fosse mi disse. “Piangi ora, sfogati, poi non piangere più” e così ho fatto. Ho passato 6 mesi a letto per via di una grave infezione venutami dopo la prima chemioterapia, poi c’è stata una dimissione di 1 mese prima del trapianto di midollo osseo… Finalmente erano riusciti  a trovare un donatore compatibile, il mio fratello di sangue!

La ricerca iniziò a giugno 2014 , fin da subito avevano capito che non ce l’avrei fatta senza un trapianto, e quando mi comunicarono la notizia ne fui spaventata e colma di gioia allo stesso tempo. Spaventata perchè c’è il 30% di possibilità di non sopravvivere e colma di gioia perchè la soluzione ai miei problemi era chissà dove el mondo, ed era lì per me! Mi ricordo che prima di entrare al centro trapianti, un reparto d’isolamento dove hanno accesso solo gli infermieri ed i medici, guardai il mio compagno e la mia famiglia e dissi loro che oltre la porta a vetri non mi sarei voltata a salutarli… Non volevo che vedessero quanto ero terrorizzata.

Erano i primi giorni di dicembre e durante la notte iniziarono a trasfondermi le cellule staminali che mi avrebbero permesso di ritornare a vivere. Furono giorni difficili, passare le feste di Natale in ospedale lontana dai propri affetti è psicologicamente molto duro, per non parlare di un fungo terribile che viene grosso modo a tutti I trapiantati e che non permette di bere nemmeno l’acqua perchè parte dalla bocca e arriva fino allo stomaco e provoca dolori molto intensi. In tutto questo pensavo al grande miracolo che mi univa ad un’altra persona, a quanto in realtà fossì fortunata ad avere una seconda chance e che purtroppo tanti malati muoiono nell’attesa di trovare una compatibilità. Decisi in quel momento che avrei fatto tesoro della mia storia, che avrei cercato di aiutare il più possibile le persone malate come me a trovare un fratello di sangue.

Purtroppo questa malattia colpisce indistintamente e senza una ragione, ognuno potrebbe aver bisogno di una compatibiltà che gli salvi la vita e ad oggi poche sono le persone che hanno deato la propria disponibilità a questo incredibile gesto di solidarietà.

Spero davvero che troviate, nel profondo del cuore, il coraggio per essere gli eroi di qualcuno.

Con immensa gratitudine,

Veronica.

Ci sono cose che sentiamo lontane, cose che sentiamo dalla tv oppure dai discorsi della gente; può succedere che queste cose restino lontane o che ad un certo punto ci tocchino da vicino. Purtroppo fino a quando non sono vicine probabilmente non diamo loro la giusta importanza, non tanto per pigrizia ma per ignoranza.

Quello che sto per raccontare lo sentivo lontano, così lontano da non pensarci mai ed essere del tutto ignorante sull’argomento: Donazione del midollo osseo.

Ecco che un giorno arriva la persona che me ne parla e mi fa capire l’importanza di tale gesto (Grazie): può salvare una vita… ripeto, può salvare una vita. Proprio come fanno quei supereroi che da bambini sognavamo di essere. In più non richiede un grosso sacrificio, un po’ di midollo e un pezzettino di tempo.

Allora mi presento alla manifestazione “Ehi tu hai midollo” e mi tipizzo (iscrizione al registro dei donatori). Da quel momento non notai alcun cambiamento in me perché, pur sapendo che da un momento all’altro mi avrebbero potuto chiamare, non credevo realistica la probabilità di essere contattato. Infatti pensavo: “Vuoi che capiti proprio a me questa possibilità?”; credo che lo pensino tutti, eppure ad un certo punto arriva il giorno della verità, il giorno in cui tutto diventa concreto.

Telefonata dal centro trasfusionale, attimo di smarrimento, incredulità, grande emozione. Difficile da descrivere, direi un mix. Sì, c’era anche un po’ di paura. Sono stato contattato dopo un anno dalla tipizzazione, mi presento in ospedale per gli accertamenti e mi dicono che avrei dovuto attendere 2/3 mesi per essere ricontattato. I tre mesi passano, poi quattro, cinque, sei. Nessuna telefonata. Tutto torna normale. Passano altri sei mesi, nuova telefonata, incredulità, ancora incredulità, seconda grande emozione. Stavolta penso che andrò fino in fondo.

Infatti torno in ospedale e comincio la prassi. Più vado avanti più mi sento convinto di proseguire anche perché vedo quante persone e soprattutto che belle persone ci sono dietro a tutto questo per portare il messaggio del Dono. Una di queste si commuove davanti a me alla notizia dell’imminente donazione, è una di quelle che ha vissuto l’esperienza dall’altra parte. Da quel momento non ho neanche il minimo dubbio. Zero. (Grazie)

Vedo i miei genitori molto preoccupati, non può essere altrimenti, però riesco a tranquillizzarli soprattutto grazie alle parole dei medici, tutti gentili e cortesi. (Grazie)

Arriva il giorno del ricovero in ematologia, sono nella mia stanza e penso: “Se fossi un malato dovrei stare qui dentro per mesi e mesi da solo?”. Pongo il quesito a mia madre, non dice niente ma capisce. Mi sento tranquillo e mi metto a dormire, domani è il gran giorno e devo svegliarmi presto.

Ecco il momento tanto atteso, mi sento tranquillo e più convinto che mai. Dopo i preparativi mi addormentano. Un sonno tranquillo, sereno. Al mio risveglio mi sento perfettamente normale. Al mio ritorno in stanza trovo i miei cari, rincuorati nel vedermi stare bene. In effetti mi sento pimpante, come non avessi fatto niente. Sono felice. Veramente felice.

Dopo qualche mese ricevo una lettera… puoi immaginare di chi sia, non puoi però immaginare la grande gioia di quel momento, a meno che non l’abbia ricevuta anche tu.

Tirando le somme posso dire che ho più ricevuto che dato. Il mio midollo si è rigenerato e il tempo investito l’ho recuperato subito; infatti mi sono anche permesso di cominciare immediatamente a portare la mia esperienza tra i giovani assieme a quelle fantastiche persone che hanno reso reale la mia storia. Sono tornato alla mia vita normale e ho ricevuto una gioia che mi accompagna ogni giorno.

In tutto questo percorso una cosa ha fatto da padrone: il sorriso. Nonostante la donazione sia una cosa seria (perché decide della vita di un malato) non c’è stato un giorno dove il sorriso non fosse presente. E non parlo solo di me, tutte le persone con cui ho avuto a che fare sorridevano. Ma non sorrisi provenienti da una battuta di spirito o forzati. Erano assolutamente naturali. Di solito le cose serie sono quelle affrontate appunto con serietà e non tutti ci mettono di mezzo il sorriso. Ma qui tutti sorridevano. Non saprei spiegarmelo, forse c’è una gioia intrinseca nell’atto di Donazione.

Sono giunto quindi alla conclusione che la Donazione è qualcosa di serio fatto con il sorriso.

Edi

Il privilegio più grande che abbiamo è la libertà di scegliere.

Tendiamo a darlo per scontato e ce ne dimentichiamo finché sulla nostra strada non troviamo qualcuno che ha perso questo privilegio e che altro non ha se non una speranza. Questa speranza, per chi è malato di leucemia, si chiama “gemello genetico” e ognuno di noi può esserlo con un piccolissimo gesto: iscriversi all’ADMO.

Ho donato il midollo dalle creste iliache nel 2015, a distanza di quasi 20 anni dall’iscrizione al registro, un lunedì mattina di una bellissima giornata invernale. Il percorso che mi ha portato dalla “chiamata” alla donazione è stata un’altalena di emozioni: stupore e paura, felicità e speranza. Ma soprattutto la costante sensazione che stavo facendo qualcosa di davvero utile, di veramente tangibile.

Non so a chi sia andato il mio midollo, ma mi piace pensare che ci sia qualcuno che, da qualche parte nel mondo, oggi sorride pensando che le speranze non sono poi vane. E in fondo è questo il vero senso del dono: darsi incondizionatamente e senza interesse. Che non vuol comunque dire avere nulla in cambio: io dalla donazione sono uscito più ricco, più consapevole e straordinariamente più forte.

Enrico